Deserti con turbanti (caravan e camper – luglio 2007)

Nel 2007 il mensile Caravan e Camper ha pubblicato il mio viaggio in Libia, da Tripoli fino a Ghat, passando per deserti del Maghadgat e dell’Akakus.

Orizzonti sconfinati e indefinibili, luce tagliente, giornate roventi e notti gelate, sconfinate e piatte distese di sabbia eppoi alte dune, cordigliere di pietra e laghi dai toni astratti: il deserto, insomma, è più un luogo dell’anima che un posto del globo. Non solo. Archeologia latina, civiltà berbera e tuareg sono disseminate sul tragitto per dare maggiore ricchezza all’anima stessa. Da ricordare, poi: ogni località è un’oasi. Il viaggio è indimenticabile e comincia quasi sempre proprio da dove antichi greci o romani lasciarono il segno del loro soggiorno espansivo. Il viaggio che stiamo per iniziare, però, non va preso a cuor leggero. La Libia è un paese stabile, ma complicato e per questo le autorità s’impegnano a renderlo sicuro con la loro continua assistenza. Lungo il percorso s’incontrano numerosi posti di polizia, non tanto per i controlli, ma per essere sempre pronti a risolvere i momenti di difficoltà, Il viaggio, insomma, non può essere affidato a una iniziativa personale. Per viverlo nel modo più gradevole e divertente è bene affidarsi a un’organizzazione d’esperti. Iniziamolo rispettando questa premessa.


Il viaggio inizia
Il camper, ma anche la caravan attrezzata per essere autosufficiente, sono senz’altro gli strumenti più adatti per vivere appieno l’emozione dei deserti libici. Più si scende verso sud, più le strutture alberghiere diventano rare e spartane. Non mancano, invece, zone attrezzate per la sosta, con acqua e spesso anche elettricità, nate proprio per soddisfare un trend costante e in crescita che vede sempre più turisti itineranti. UnPaese sicuro, intendiamoci, con un grande e, per certi versi sorprendente, rispetto per il visitatore. Qui, c’è petrolio, ricchezza, tecnologia, auto nuove, computer, televisori al plasma. In Libia, l’Islam è una realtà moderata in uno stato laico. Le donne non hanno veli integrali, le vetrine sono ricche di vestiti alla moda, anche occidentale, e ogni città, anche la più sperduta nel deserto, ha il suo “Internet Point” ad alta velocità. Nei negozi non si tratta, al massimo si chiede lo sconto, come fareste dall’esercente sotto casa vostra. Non bisogna illudersi, comunque: organizzare un viaggio “fai da te” è molto complesso, per non dire impossibile. L’itinerario che vi proponiamo in queste pagine è quello che abbiamo sperimentato personalmente con l’organizzazione dei “Viaggi di Caravan e Camper” by Girocamper.

Si parte. La splendida Tunisi è l’estrema periferia del Sahara, ma si scende più a sud sfiorando laghi salati, “jabel” isolati, finché non appare Sabrata, un impatto improvviso con siti preziosi di ricordi dell’antica Roma e un teatro che fu classificato fra i più belli dell’antichità. Meravigliosi mosaici si trovano esposti nel Museo locale. Sabrata è stata dichiarata dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità e merita una serena sosta. Nella vicina Nalut cambia tutto. La località è berbera in ogni aspetto della sua cultura, ancora praticata, e sottolineata dal suo intatto “ksar”, uno di quegli edifici civili che nel mondo arabo sono più espressione della forza, della potenza, piuttosto che della vita civile: si tratta di un granaio, dove venivano conservati cereali, datteri e olio, utilizzato fino alla metà del secolo scorso. Sulla strada, si sosta alla verdissima oasi di Derj, per arrivare dopo solo 379 chilometri a Ghadames. La città che ci si para davanti, ora, è, giustamente, considerata una delle perle del Sahara. Di certo, fra le tante sorprese architettoniche e naturali offerte da questo viaggio, Ghadames, al confine con l’Algeria, tocca i vertici più elevati. Si divide in Città Vecchia e Città Nuova. Una leggenda affida l’origine di Ghadames al nome della principale sorgente d’acqua della zona: Ain Al-Faras, la Fonte della Cavalla. Si dice che la cavalla del conquistatore arabo Ocba Ben Nafa nel VII secolo, spostando con le zampe una zolla sabbiosa sulla superficie del terreno, fece affiorare il prezioso liquido, principale risorsa idrica della zona. Per cominciare, e non se ne abbiano a male i referenti dell’Atlante marocchino, questa è veramente la culla della cultura berbera. In questa località si sono sempre svolti, nel passato, gli scambi economici e sociali fra tutte le popolazioni sahariane e africane. La Città Vecchia, cosparsa di piazze, era divisa in due quartieri, abitati rispettivamente da arabi e berberi. Oggi, sebbene perfettamente conservata, non ci abita più nessuno.

Sabha, capitale del Fezzan
Il viaggio svolta verso est all’interno del Paese. Attraversiamo il deserto di Hamadalh el-Hamra. Percorso dritto, paesaggio piatto e cosparso di pietre senza dune e rilievi dove si possono incontrare gruppi di cammelli pascolanti. Arrivati ad Al Shuawarit si punta decisamente verso sud. Qualche rilievo interrompe la visuale e avvicina l’orizzonte. È dopo Brak che si scopre quel mondo per cui si è scelto di venire in Libia. Finalmente dune di sabbia e qualche palmeto. Procedendo lungo il più settentrionale uadi (vallata) del Fezzan si punta a Sabha, che si annuncia in lontananza con la morbidezza della verde oasi, nella cui prossimità sorge la città moderna. È la capitale del Fezzan, meta preferita per chi intende compiere escursioni e viaggi nel Sahara. La città vive intorno all’alberata shari Jamal Abdul Nasser, che conduce nel centro, e alla parallela shari Mohammed Megharief, sulle quali si allineano moderni palazzi occupati o da alberghi o dalle sedi d’importanti società. Il tessuto urbano, comunque, è composto da qualche villa e quartieri di casupole fatiscenti, senza più traccia dell’antico nucleo di caratteristici villaggi. A Sabha, Muhammar Gheddafi ha frequentato le scuole superiori e ha cominciato la sua vicenda rivoluzionaria. Ormai siamo in pieno Erg Awbari, e non è distante Jarmah, una sorta di campo base per un’escursione da raccontare. Occorre passare dal camper a una 4×4, il veicolo più adatto per addentrarsi fuori strada nell’Erg Awbari, verso i laghi di Ramlat ad-Duwadah. La zona prende il nome dall’antica popolazione qui residente: i “Duwada” o mangiatori di vermi. Si nutrivano di piccolissimi crostacei simili, appunto, ai vermi. I laghi sono una ventina: alcuni sono mentre in altri si può camminare su una crosta di sale. Dopo un’entusiasmante “planata sulle dune di sabbia” con i fuoristrada, il Lago Mandara in via di prosciugamento, appare all’improvviso ed è, veramente, simile a un miraggio, col suo blu intenso, incoronato da un’oasi verde. Più oltre, un villaggio di capanne abbandonate testimonia un precedente insediamento e la fitta presenza di palme, al di là delle dune, accompagna una specie di canale (Umm al-Ma, madre delle acque), il bacino da cui, forse, nasce la falda che alimenta gli altri laghi. Il più distante dei principali bacini è il Gabraoun, dal nome del capostipite dei “Duwada”, Aoun.

Mistico silenzio
Si punta su Ghat, di nuovo al confine con l’Algeria. Si prova l’indescrivibile emozione di trovarsi a contatto con il fiero popolo dei tuareg, i mitici abitanti nomadi del Sahara. E siamo pure al capolinea del lungo viaggio, nel palpitante cuore del deserto, meta e punto di partenza per tanti esploratori. Il deserto di Maghadgat è un altro luogo mistico, ove perdersi ad ascoltare, come dicono i Turareg, “il rumore del proprio cervello”. Qui, immensi e frastagliati pinnacoli si ergono dalle sabbie ora gialle, poi rosate, ora ocra poi rosse. Il rispetto impone il silenzio. Si respira un’atmosfera primordiale, intrisa di spiritualità. E da un deserto unico e irripetibile ad un altro altrettanto esclusivo, sebbene più famoso: l’Akakus. Occorre raggiungere Awinat. Sono 150 chilometri di rilievi montuosi e deserto, naturale prosecuzione del Tassilli algerino. L’Akakus è la falesia settentrionale, Tadrart (montagna in tuareg) quella meridionale. Si è di fronte a uno, scenario composto da estese aree di sabbia e ciottoli con il contrappunto di formazioni rocciose dalle infinite variazioni, modellate da vento, acqua e sabbia: pinnacoli come immense canne d’organo o veri massicci scolpiti dal tempo. In realtà sono, pure, altro: un vero museo all’aperto di graffiti preistorici, documento di vita e costume, il maggiore sito d’arte rupestre di tutto il Sahara. Meravigliose le scene di caccia dell’uadi Tanshal, le figure femminili di Uan Muhuggiag, mentre la natura offre, da par suo, i pinnacoli di roccia nera dell’Awiss.
Il viaggio di ritorno verso Tripoli sarà pavimentato di nostalgie, rimpianti e ricordi entusiasmanti e non potrà terminare senza essere andati a conoscere la deliziosa Leptis Magna, cittadina un po’ Roma, un po’ Atene, rimasta come allora. Vi soggiornarono prima i punici e poi i fenici. Dopo la sconfitta di Cartagine (146 a.C) i romani vi si stabilirono e inglobarono quel che restava dell’era punica. Il patrimonio archeologico, ancora, da visitare annovera tanti monumenti. Ormai Tripoli è a due passi. Ed è il primo ritorno alla civiltà. Ben presto il viaggio sarà già un ricordo, una memoria indelebile.

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  • 29 March 2019
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